Piena utilizzabilità degli investigatori privati per controllare il dipendente, ma solo in luoghi pubblici (cioè non aziendali) e, ovviamente, in orario di svolgimento della prestazione. La Cassazione (Sezione lavoro, sentenza 8373/18 depositata ieri) torna ancora una volta sui limiti ispettivi del datore di lavoro previsti dallo statuto dei lavoratori (Legge 300/70).

Il contenzioso, sfociato in un licenziamento impugnato fino in Cassazione, riguardava un dipendente di un’assicurazione, funzionario di terzo grado, raggiunto sette anni fà dal provvedimento disciplinare originato da una serie di controlli esterni. Il lavoratore aveva eccepito, a partire dall’appello, l’illegittimità dei controlli svolti da un’agenzia investigativa, considerato che era stato impegnato anche in attività non lavorativa fuori dall’ufficio, non aveva violato il monte ore complessivo settimanale(37) e non era stato inoltre verificato se si fosse trattenuto in ufficio oltre il normale orario di lavoro e quali erano stati i risultati raggiunti.

La Corte ha tuttavia rigettato il ricorso, condannando l’ex assicuratore anche alle spese di giudizio.
Lamentava violazione delle garanzie previste dagli art. 2 e 3 dello Statuto in particolare sul personale terzo adibito ai controlli. Non è pertinente a giudizio della Cassazione, perchè quelle operano esclusivamente in riferimento all’esecuzione dell’attività lavorativa in senso stretto. Nel caso specifico i controlli in esterno non erano diretti a verificare le modalità dell’adempimento dell’obbligazione lavorativa, bensì le cause dell’assenza del dipendente dal luogo di lavoro inteso come mancato svolgimento dell’attività lavorativa da compiersi anche all’esterno.
Nei 10 giorni di osservazione, tra l’altro l’ex assicuratore non aveva svolto alcuna attività lavorativa giustificando così la sufficienza dell’osservazione degli investigatori sul suo comportamento inadempiente rispetto al minimo contrattuale.